C’è almeno un fisico – Angelo Bassi dell’Università di Trieste – che “dubita della meccanica quantistica”. Lo ha scritto il Corriere della Sera nell’edizione del 19 luglio. Sembra una boutade di mezza estate, quasi un atteggiamento sacrilego. Invece è una buona notizia. Vediamo il perché.
Il metodo scientifico è basato sulla realizzazione di modelli dei fenomeni in studio. I modelli possono essere fisici o solo matematici. Gli ingegneri amano i modelli fisici. Gli ingegneri meccanici, ad esempio, apprezzano i car test in scala reale, e quando studiano un fiume gli ingegneri idraulici ne costruiscono un modello in scala ridotta, una specie di ruscello capace di simulare e prevedere come si comporta il fiume reale. I modelli fisici però costano, e dunque spesso gli ingegneri ripiegano sui modelli matematici che esistono sulla carta o nei computer. Si tratta di schematizzazioni – qualitative e quantitative – dei fenomeni, con semplificazioni interpretative, analogie, simboli, e – naturalmente – equazioni che permettono di calcolare le relazioni tra i parametri in gioco. I modelli matematici possono essere molto semplici o molto complessi, e una volta ben calibrati con opportuni dati sperimentali, possono essere usati per fare utili previsioni e per progettare. Certo, i modelli troppo complessi, come quelli che studiano sistemi con tanti parametri che cambiano continuamente nel tempo (penso ai sistemi biologici o ai sistemi naturali su larga scala), sono spesso poco affidabili e vanno maneggiati con cautela.
In ogni caso, i modelli sono rappresentazioni della realtà. Lo sanno sicuramente bene – tra gli altri – gli ingegneri aeronautici, che progettano gli aerei avendo a disposizione due modelli, diversissimi tra loro ma che funzionano egregiamente bene. Il primo – e più famoso – è detto di Bernoulli perché si basa su un teorema proposto dal matematico svizzero Daniel Bernoulli, in base al quale la pressione di un fluido, come l’aria, diminuisce quando la sua velocità aumenta. Si ipotizza dunque che quando un volumetto d’aria va a sbattere contro l’ala dell’aereo si divida in due: mezzo volumetto corre sulla parte superiore dell’ala e l’altro mezzo lungo la parte inferiore; insieme si ricompongono all’uscita. Il profilo dell’ala è tale per cui il mezzo volumetto sulla parte inferiore deve fare una strada più breve, pertanto esso corre più lentamente per ricongiungersi con l’altro mezzo volumetto; per cui – Bernoulli dixit – l’aria che corre a contatto con la parte inferiore dell’ala si trova ad una pressione più alevata e quindi induce una forza che spinge l’ala verso l’alto. E l’aereo vola. Tutto chiaro? Direi proprio di no! Fin da studente mi sono sempre chiesto: perché i due mezzi volumetti devono proprio riunirsi perfettamente all’uscita dell’ala? Nessuno lo sa… è un’ipotesi del modello; un’interpretazione di quello che si pensa succeda in realtà.
Come dicevamo, gli ingegneri hanno poi a disposizione un secondo modello, che considera ogni ala un po’ inclinata in modo che l’aria va a sbattere sotto l’ala stessa spingendola verso l’alto. Per i calcoli non si scomoda stavolta Bernoulli ma addirittura Isaac Newton e il suo principio di azione e reazione. Anche questo modello funziona. Tutto bene stavolta? No, perché in effetti le misure sperimentali mostrano che l’aria presso la parte inferiore dell’ala si trova ad una pressione superiore, come postulato da Bernoulli; peccato che il modello di Newton non si esprima su questo fatto importante. Riassumiamo allora: abbiamo due modelli che funzionano bene, entrambi con aspetti positivi ed enigmi inspiegabili. Appare chiaro che i modelli sono rappresentazioni efficaci – ma parziali – della realtà: ognuno coglie alcuni aspetti ma ne trascura altri.
Molti scienziati, tuttavia, sono affezionati ai modelli e ritengono che essi coincidano con la realtà. La questione della meccanica quantistica è esemplare. Prendiamo il tema assai noto della dualità onda-particella. Anche qui abbiamo due modelli che funzionano bene. Il primo considera la luce come uno sciame di particelle (che ovviamente nessuno ha mai visto), ed è caratterizzato da una formulazione matematica molto ostica (la meccanica delle matrici). Il secondo considera la luce come un’onda ed è caratterizzato da una formulazione matematica più semplice (la teoria delle onde, che funziona bene anche per modellare le onde sonore o le onde del mare). Dunque – come per gli aerei – ci sono due modelli completamente distinti tra loro, basati su formulazioni matematiche diverse e pure con spiegazioni qualitative diverse, e che funzionano entrambi bene: quale è quello che si avvicina di più alla realtà? Oppure entrambi ne sono lontani e c’è un terzo modello più vero ancora da scoprire?
Molti fisici romantici non si pongono queste domande e concludono che luce e materia sono contemporaneamente sia particelle che onde perché amano considerare i loro modelli consustanziali con la realtà: quello che affermano è inevitabilmente vero, costi quel che costi. Ma questo – come visto – è palesemente un wishful thinking dettato dall’entusiasmo dell’avventura scientifica. E’ dunque bene che tutti, compresi i fisici (mi si perdoni il tono scherzoso da vile ingegnere meccanico quale sono), dubitino dei propri modelli, compresi quelli più famosi come quelli della meccanica quantistica, ed abbiano sempre un atteggiamento improntato alla critica costruttiva. Lode dunque al fisico Angelo Bassi che si sforza di scoprire un terzo modello per la meccanica quantistica, alternativo agli altri due e capace di migliorarli. Questo è l’atteggiamento giusto, che permette al metodo scientifico di essere sempre accolto per quello che oggettivamente è: un grande strumento di crescita per l’umanità, e non un produttore di verità a cui affidarsi ciecamente.
(da: “il Margine”, Anno 40, 2020, n.7)